Dialogues #1 – NOTTURNO DOMESTICO
16 February 2018 - 16 March 2018
Via dei Quintili 144, Roma, 00187, Lazio
mostra di Davide Dormino e Silvia Giambrone
a cura di Fabrizio Pizzuto
COMUNICATO STAMPA
Con Notturno Domestico, mostra di Davide Dormino e Silvia Giambrone, si inaugura Dialogues, nuovo ciclo espositivo di Spazio Y che, di volta in volta, vedrà dialogare due artisti nella produzione di lavori site specific pensati appositamente per lo spazio romano.
Attraverso due installazioni che si fronteggiano, gli artisti presentano modi differenti di guardare alle dinamiche relazionali, innescando una riflessione critica sui limiti, i rischi e le contraddizioni che caratterizzano i rapporti umani.
L’installazione della Giambrone ricostruisce un interno domestico che, in continuità con un filone di ricerca già avviato dall’artista, diviene spunto per indagare attraverso oggetti del quotidiano la dimensione politica dell’intimità e delle forme sotterranee di assoggettamento.
Nel lavoro di Dormino, dove la fisicità esecutiva diventa centrale, un blu profondo fa da sfondo ad un telaio di piombo che, attraverso l’intervento dell’artista, diviene metafora del rapporto con l’altro da sé.
In occasione dell’inaugurazione verrà presentata un’edizione limitata di stampe serigrafiche, frutto della collaborazione dei due artisti.
Testo critico di Fabrizio Pizzuto
Notturno e Domestico sono due modi di guardare, non necessariamente di vedere. In entrambi (nel notturno e nel domestico) l’immagine si fonde col contesto, appare, filtra, forse non c’è. Le cose si nascondono protette dal buio o da un’eccesso di confidenza (anche nel conosciuto si celano cose). Ci si avvicina, allontana, si mette a fuoco strizzando gli occhi. Un barlume di qualcosa traspare. È la notte stessa, è l’amore, è il quotidiano, la casa stessa, la familiarità, il giorno che si sussegue al giorno, talvolta è quello che è stato.
Notturno e Domestico diventano parti della stessa visione, trovano un’omogeneità speculare nel separarsi.
La notte delinea la sua figura nell’opera di Davide Dormino attraverso il pericolo e la confidenza del lanciatore di coltelli: introflessa figura appare da questa stessa fiducia, si situa, si orizzonta. Colpisce dall’interno invece che dal palco.
Dall’altro lato, speculare, il lavoro di Silvia Giambrone addomestica. La carta da parati è parete, è casa, domus. Aggiungo abitazione, da abito: qualcosa che sta in noi, costante presenza. Si tratta di guardare per cercare l’infinitamente piccolo, infinitamente noi. Confina con lo sguardo dentro che scruta la nostra storia.
Lo sforzo di guardare nel dettaglio ciò che si nasconde nell’enorme. La visione porta in sé la possibilità di non vedere. Già Edgar Allan Poe raccontava come nascondere nell’esibito. Indagando il mappamondo con una lente di ingrandimento, infatti, potresti vedere un quartiere di Johannesburg, ma potresti non vedere la scritta enorme AFRICA.
Ma cosa significa guardare senza vedere, scavalcare la visione, perderla nell’indistinto, credere di essere andati aldilà, a squarciare il velo di Maya, realtà composta di evidenti apparenze?
Significa qualcosa che è qui, ora e da sempre, che era qui prima di noi, nella notte e nella casa, nella coscienza, nel vissuto. Qualcosa che si è addomesticato nel domestico, nascosto nell’esibito, “Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto alberi case colli per l’inganno consueto” diceva Montale. Le cose riappaiono dove sono sempre state.
Il momento di verità, in cui per un istante vediamo oltre la materia, oltre la notte, oltre la casa, per poi andarcene con la nostra conoscenza segreta nel cuore.
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