Nail houses: appunti per una mappa della scena artistica indipendente a Istanbul
Simone Ciglia
Forse potremmo iniziare da un’immagine. È l’immagine di una casa: una casa piuttosto comune per la verità, che non sembra mostrare i segni di un tempo o un luogo specifico. La casa possiede però una particolarità che la rende memorabile agli occhi di chi la osserva: si eleva solitaria su una porzione di suolo pari alle sue dimensioni, quasi un’isola su un mare di terra, mentre tutt’intorno la superficie scavata è percorsa da ruspe e camion.
L’immagine, ci viene consegnata da una scultura dell’artista turco Ahmet Öğüt (Diyarbakir, 1981). Fa parte di una serie – Pleasure Places of All Kinds – che trae la propria materia dalla realtà. Immagini simili le abbiamo viste nei quotidiani o forse in televisione, di preferenza nelle sezioni dedicate alle notizie curiose. Si tratta di un fenomeno nato in Cina pochi anni fa e definito nail houses (case-chiodo): come chiodi ostinatamente infissi nella propria sede, i proprietari di queste abitazioni si oppongono agli sgombri per nuovi progetti edilizi rifiutandosi di abbandonare gli edifici. Questi ultimi rimangono allora solitari negli sbancamenti di terreno che ospiteranno futuri complessi edilizi, strade o centri commerciali; un vero e proprio monumento all’opposizione. Come sottolinea l’artista, «spazio pubblico e privato si scontrano in maniera assurda e si trasformano in espressioni di resistenza quotidiana individuale contro le strategie di stato o di coercizione aziendale»1.
Abbiamo preso in prestito l’immagine della nail house perché ci sembra una metafora poeticamente adeguata per descrivere la scena artistica indipendente che ha per teatro Istanbul. Megalopoli da 15 milioni di abitanti, la città rappresenta il volto più evidente del boom economico che ha interessato la Turchia a partire dal principio del XXI secolo; un’espansione trainata dal settore edilizio che ha avuto riflessi consistenti anche in altri ambiti, fra cui quello culturale. Un recente censimento2 degli spazi dedicati alle arti visive della città – nel settore pubblico e privato – ha rivelato numeri impressionanti: il computo totalizza 78 musei, 143 gallerie di arte contemporanea, 31 spazi artistici e culturali. L’incremento, generalizzato a partire dall’anno 2000, è stato addirittura vertiginoso nel comparto delle gallerie, passate nel giro di quindici anni da una cifra inferiore alle quaranta unità a una superiore alle centoventi. Questi numeri parlano di una massiccia presenza dei privati in campo culturale e di un mercato che, forse proprio per la sua novità, appare ancora più aggressivo e vorace.
Se il recente benessere ha alimentato il giro economico intorno all’arte contemporanea, non tutte le opzioni nel campo artistico assecondano questa tendenza dominante. Nell’ampia offerta culturale della città non manca quella vasta e composita galassia che classifichiamo sotto la rubrica “indipendente”: spazi o gruppi che orientano il proprio agire al di fuori delle istituzioni e non pongono il profitto come scopo della propria attività; realtà differenti come artist-run spaces, residenze, iniziative editoriali, non-profit. Una tale modalità di operare appare iscritta d’altra parte nella tradizione di Istanbul, che ha fatto dell’informalità e dell’autorganizzazione due dei caratteri distintivi, come chiarisce Hou Hanru:
Gran parte degli artisti ha cominciato a operare direttamente nelle strade e negli spazi domestici. Per lungo tempo, l’autorganizzazione ha rappresentato la sua principale, se non unica, modalità per rendere visibile e far conoscere al grande pubblico la propria opera. Nonostante l’odierno boom infrastrutturale e di mercato di cui beneficia l’arte contemporanea, quasi tutti gli artisti tengono moltissimo al mantenimento di un legame solido con la pratica dell’autorganizzazione, e soprattutto al loro radicamento culturale nella realtà urbana3.
A partire soprattutto dalla prima Biennale del 1987, Istanbul e la Turchia sono comparse sulla mappa dell’arte contemporanea, accrescendo progressivamente la propria importanza. Dire Turchia in questo caso significa dire soprattutto Istanbul, perché è nell’ex capitale imperiale che si sono concentrate la parte maggiore delle iniziative. Presente alla Biennale di Venezia con un proprio padiglione dal 2003, la Turchia ha costruito negli ultimi vent’anni un sistema dell’arte consolidato in tutte le sue articolazioni, con musei (fra cui Istanbul Modern), fiere, festival, una rete di gallerie e di spazi promossi da banche (come SALT, Akbank), holding (Borusan Sanat) e Fondazioni (Arter, SAHA).
Accanto al sistema “ufficiale”, strettamente legato alle forze economiche e politiche dominanti, si è registrata una proliferazione d’iniziative di diversa natura che hanno intercettato istanze rimaste escluse. In una delle prime indagini sull’argomento – risalente a una decina di anni fa – la sociologa e storica dell’arte Pelin Tan riconduceva questo fenomeno al concorso di vari fattori: «la confluenza di nuove reti trans-locali, gli effetti di eventi d’arte internazionali, e la rinascita di pratiche artistiche collaborative in tutto il mondo»4. È sintomatico che da allora questa scena abbia guadagnato anche l’attenzione e il supporto da parte delle istituzioni. Lo testimonia la recente creazione da parte della Fondazione SAHA di un Grant for the Sustainability of Independent Art Initiatives 2015–2016 (Sovvenzione per la sostenibilità delle iniziative artistiche indipendenti 2015-2016). Sono comprese all’interno di questo fondo realtà diverse – localizzate anche al di fuori della città – accomunate dalla qualifica di “indipendente”5.
Nella lista dei beneficiari compare un progetto pionieristico nello scenario istanbuliota: Apartman Projesi (Apartment Project) è stato, infatti, uno dei primi artist-run spaces. Aperto nel quartiere di Tünel nel 1999 su iniziativa di Selda Asal, è nato con l’intento di offrire uno spazio di collaborazione interdisciplinare e di esposizione. Mostre (con una particolare presenza di audio e video), happening, performance si sono succeduti in questo spazio di 24 metri quadrati fino al 2007. Apartment Project ha quindi iniziato una seconda vita a Berlino, dove si è trasferito nel 2012 e prosegue tuttora la propria attività.
L’editoria rappresenta un altro dei settori nei quali si esprime l’iniziativa indipendente6. In questo ambito il finanziamento di SAHA è stato assegnato a BAS, uno spazio nato nel 2006 per iniziativa dell’artista Banu Cennetoğlu e dedicato alla raccolta, esposizione e produzione di libri d’artista. Anche la Turchia ha partecipato del nuovo impulso generato in questo campo dal web, uno dei territori privilegiati dell’agire indipendente grazie alla facilità e rapidità di azione e diffusione. Fra le realtà maggiormente attive si segnala m-est, una pubblicazione online fondata nel 2011 e «concepita come un’iniziativa centrata sugli artisti»7: sulle sue pagine virtuali si alternano interventi su o da parte di artisti.
Se Istanbul catalizza prepotentemente la parte maggiore delle energie sul contemporaneo, il programma SAHA non manca di dedicare attenzione anche al resto del Paese. Nella capitale Ankara opera dal 2012 Torun, uno spazio espositivo dichiaratamente «lontano dalle relazioni dell’arte contemporanea». Nei primi due anni di esistenza la struttura si è fondata sul volontariato, organizzando un mercato per l’auto-finanziamento. Si è trasferita invece a Mardin nel 2014 Videoist, una realtà dedicata alla videoarte nata nove anni prima dall’impulso di due artisti8. L’intento è di fornire supporto agli autori che si esprimono attraverso questo linguaggio.
Il supporto istituzionale prova a offrire una soluzione a quella che con ogni probabilità è la questione più urgente per tutti gli attori che si muovono nello scenario indipendente, la sostenibilità finanziaria. L’estrema volatilità sembra essere, infatti, un carattere unificante in questo orizzonte. Risulta ormai fermo da qualche anno PiST///Interdisciplinary Project Space, uno spazio non-profit che dalla sua costituzione nel 2006 ha guadagnato grande visibilità internazionale. Considerato alla stregua di un progetto artistico dai suoi fondatori Didem Ozbek e Osman Bozkurt, il suo ricco calendario ha proposto incontri, workshops, lecture, sessioni di ascolto, screenings, oltre a un programma di residenze indirizzato ad artisti internazionali (PIRPIR). «Conflitti fra spazio pubblico e privato, identità, temi urbani e relazioni di potere nel mercato e nella scena artistica», le questioni d’interesse dichiarate. Era invece indirizzato all’arte digitale Nomad, nato del 2002 e dopo quattro anni trasformatosi in associazione prima della sua fine.
È tristemente lunga la lista degli spazi che – solo negli ultimi anni – hanno interrotto le proprie attività: 6 Aylik, Bir Dukkan, CUMA Contemporary Utopia Management, Daralan, Loft, TOZ. Significativa la vicenda di Oda Projesi, un collettivo artistico che per cinque anni – dal 2000 al 2005 – ha animato uno spazio indipendente a Galata, poi sgombrato dal processo di gentrificazione che sta interessando molte aree della città. Da allora il gruppo prosegue le proprie attività in maniera nomadica, servendosi di tutti i media adatti allo scopo: radio, libri, giornali, incontri, ecc. Ha abbandonato il legame fisico con una sede per assumere uno stato fluido anche Caravansarai Art Space, progetto nato nel 2010 da un’iniziativa congiunta di Julie Upmeyer and Anne Weshinskey. Sotto le parole d’ordine di collaborazione, sperimentazione, residenza e scambio, il loro spazio di Karaköy ha ospitato negli anni più di quaranta artisti.
Alcune realtà sono invece riuscite a riprendere la propria vita dopo un momento di chiusura. È il caso di MARS, artist run space legato al nome di Pınar Öğrenci, che dalla sua fondazione nel 2000 ha spostato i propri interessi dall’architettura verso l’arte. Altri spazi hanno cambiato pelle, seguendo la strada del mercato: Outlet, che affiancava l’attività commerciale a quella di non-profit, ha dato corso successivamente alla galleria Pilot; anche Sanatorium, dopo aver iniziato la propria attività nel 2009 per iniziativa di otto artisti, è diventato due anni dopo una galleria. Proje4L si è invece trasformato in un museo privato (Elgiz).
In questo scenario in continuo e rapido mutamento, permangono alcune realtà che riescono a superare la prova del tempo. Una parte significativa di queste è compresa sotto la rubrica di Artist-run spaces. Da quasi dieci anni – è stato fondato infatti nel 2007 da Nancy Atakan and Volkan Aslan – 5533 è un luogo polivalente orientato alla ricerca, l’esposizione e la discussione sull’arte. Alla galleria si affianca infatti una biblioteca, un archivio e uno spazio per gli incontri. Seguendo una tradizione di collaborazione, lo spazio ospita dallo scorso anno Proto5533, un programma annuale di mostre realizzato congiuntamente a un altro dei soggetti indipendenti più attivi degli ultimi anni: Protocinema è stato avviato nel 2011 da Mari Spirito e pur avendo una duplice sede fisica – a Istanbul e New York – si distingue per il carattere itinerante, realizzando progetti in tutto il mondo. A New York fa base anche un’altra iniziativa, proveniente da una matrice diversa – quella del collezionismo – sempre sotto il segno del non-profit: l’organizzazione collectorspace ha aperto nel 2011 un piccolo spazio nei pressi di piazza Taksim in cui espone al pubblico le collezioni private.
In linea generale, gli spazi indipendenti tendono a differenziare la propria offerta, spesso intrecciando campi disciplinari diversi. Nato nel 2011 da İpek Çankaya e Sezgi Abalı Attal con la partecipazione di Ayşe Kâya, Halka art Project è un luogo dalle molte identità: residenza, galleria, studio ma anche luogo d’incontro. Rivendica orgogliosamente lo statuto di non-profit e l’assenza di sponsorizzazioni – sia istituzionali sia di società. L’appartenenza al network Res Artis gli conferisce un respiro internazionale. Variegato anche il programma proposto da DEPO, che prevede mostre, proiezioni, lezioni, conferenze, workshops e incontri. L’iniziativa ha una precisa focalizzazione geografica: il Caucaso, il Medio Oriente e i Balcani sono le aree individuate come luogo di dialogo con la Turchia. L’interesse sociale, che si traduce spesso in forme di attivismo, è un altro dei principali moventi alla base dell’agire indipendente. In questa direzione si orienta Pasaj, un’iniziativa che propone progetti partecipativi ed è animata da due artisti, due operatori culturali e un curatore.
1 http://www.ahmetogut.com/ahmetwebPleasurePlaces.html
2 Ricerca del Dipartimento di architettura dell’Università di Istanbul, coordinata dalla professoressa Moira Valeri con l’assistenza di Çağlayan Ince e Elif Yurdaçaliş. Vedi: Istanbul. Passione, gioia, furore, catalogo della mostra a cura di Hou Hanru et. al., MAXXI, Roma, Quodlibet, Macerata 2015, pp. 46-47.
3 Hou Hanru, Istanbul. Passione, gioia, furore, in ibid., p. 16.
4 Pelin Tan, Self initiated collectivity, artist run spaces and artists’ collectives in Istanbul, in User’s Manual: Contemporary art in Turkey 1986-2006, art-ist and Revolver 2007 (disponibile su internet: http://www.academia.edu/202522/Artist_run_spaces_and_collective_in_Istanbul)
5 http://www.saha.org.tr/en/projects/project/grant-for-the-sustainability-of-independent-art-initiatives-2015-2016
6 Il settore dell’editoria indipendente è al centro del contributo di Ali Taptik, Are we too comfortable on our islands? Do we need larger ships? pubblicato in questo stesso giornale.
7 Merve Ünsal è il redattore principale, in collaborazione con il managing editor Özge Ersoy, e artisti.