Intervista Elena Motisi > Urban Gorillas
Elena Motisi, Urban Gorillas
Elena Motisi: Che cosa significa per voi la qualifica di “indipendente”? Perché vi ritenete tali? Come si struttura il vostro gruppo di lavoro?
Urban Gorillas: A mio avviso, si è indipendenti quando le pratiche artistiche sono eseguite indipendentemente da qualsiasi specifico dettame o modello predefinito. I valori e la forma di un progetto indipendente scaturiscono da un’iniziativa autogestita orientata alla ricerca del significato sotteso al modo in cui si difende la sfera pubblica ed artistica. Un indipendente agisce contro ogni pregiudizio di natura politica, economica, religiosa o sociale e una volta che questa liaison viene riesaminata, chi è indipendente è in grado di intervenire in modo creativo determinando un impatto sociale.
Urban Gorillas prospetta una città creativa, verde e socialmente impegnata. In un simile contesto, essere indipendenti significa perseguire idee e convinzioni oggettive, nonché coinvolgere la comunità nella progettazione e attuazione di pratiche creative a vantaggio di essa stessa.
Come si declina il concetto d’indipendenza nell’ambito specifico delle discipline architettoniche e urbanistiche? In che termini ne risultano modificati la professione e il progetto?
Nota: Gli strumenti (non solo economici) a disposizione degli architetti indipendenti sono diversi rispetto a quelli forniti a coloro che lavorano con finanziamenti pubblici o privati?
In Architettura, non si può mai prescindere dalle esigenze del cliente. Gli architetti, infatti, sono chiamati a soddisfare desideri personali e spesso non vi è spazio per la creatività poiché il loro lavoro è basato su una rigida struttura di bisogni.
Nel caso dell’urbanistica, le esigenze del cliente trascendono da quelle della società nel suo insieme. Si può essere indipendenti creativamente e, al contempo, interdipendenti nel senso di non poter trascurare né gli aspetti di carattere amministrativo né i cittadini in generale. Di conseguenza, si può parlare di Interdipendenza nel campo dell’urbanistica nella misura in cui i lavori e le azioni proposte coinvolgano le parti interessate, il settore pubblico e quello privato, nonché la comunità locale in senso più ampio. Questo complesso processo genera reti di interdipendenza tra i gruppi appena citati, dando vita a un contesto molto stimolante in seno al quale siamo chiamati a lavorare.
È possibile parlare di lavoro non profit nei vostri ambiti di attività?
Assolutamente sì. Alcuni progetti possono garantire un reddito minimo, ma altri sono realizzati a titolo gratuito grazie all’impegno di collaboratori e partecipanti. I progetti che realizziamo non comportano mai profitti per l’organizzazione e i finanziamenti ricevuti servono a malapena a coprire i costi base di avviamento del progetto. Poiché al cuore del nostro operato vi è la rigenerazione degli spazi pubblici, guidati dalla nostra indole indipendente spesso organizziamo degli eventi al fine di migliorare la scena urbana. Questi eventi e interventi sono sempre ad ingresso libero e gratuito.
Inoltre, le procedure nazionali per i finanziamenti in ambito culturale esigono una classificazioni rigide e predefinite e, poiché il tipo di lavoro che svolgiamo rifugge per sua stessa natura da tali categorizzazioni, spesso è impossibile ottenerli.
A mio parere le urgenze possono essere occasione di ispirazione per nuovi progetti architettonici. Gli indipendenti di oggi devono auto-inventarsi temi di progetto in relazione alle necessità del contesto in cui vivono? A questo proposito, individuando una criticità e un potenziale, è possibile darsi una risposta con le modalità proprie di un progetto Self-Initiated? In che condizioni può quindi esistere l’auto committenza?
Hai assolutamente ragione! Gli “indipendenti” possono rispondere alle emergenze sociali, politiche, economiche e ambientali proponendo soluzioni creative, ovvero facendosi portavoce del miglioramento o, ancora, apportando soluzioni alle questioni più pressanti. Da tale punto di vista, un progetto indipendente nasce come risposta puntuale a precise condizioni sociali che caratterizzano uno specifico contesto. Pertanto, i processi e le reazioni scaturiscono dalle emergenze attuali che caratterizzano una particolare realtà.
Nel caso dell’architettura, a un architetto può essere commissionato un progetto; tuttavia, ciò non significa che questi non possa mettere in atto un atteggiamento indipendente qualora, ad esempio, decida di creare un ambiente socialmente creativo al servizio del bene pubblico.
Da tale punto di vista, un progetto auto-commissionato nasce dalla spinta indipendente dell’architetto e dell’artista che vuole proporre una soluzione ai bisogni della comunità, persuadendo i clienti del valore aggiunto del progetto in quanto al servizio del bene pubblico.
A proposito delle modalità di lavoro: che cosa vuol dire per voi lavorare con i cittadini? Quali sono le strategie per un lavoro condiviso?
Creare insieme ai cittadini è una pratica necessaria capace di rafforzare qualunque intervento si preveda a livello pubblico. In ciascuno dei progetti e degli interventi avviati esaminiamo strategie in grado di promuovere tecniche di democrazia partecipativa, quali ad esempio le open calls, gli workshop di co-progettazione, il co-sviluppo di progetti e i dibattiti con i cittadini. Le attività svolte assieme a loro possono prendere la forma di collaborazioni pratiche ma anche di ricerche finalizzate alla comprensione e all’analisi dei loro bisogni. Lavorare insieme ai cittadini significa inoltre lavorare con TUTTI i cittadini e mettere in atto delle azioni che promuovano l’inclusione sociale.
I cittadini si uniscono a noi quando gli intenti sono chiari e quando la natura della collaborazione consente l’apprendimento, la condivisione e il divertimento, oltre a promuovere scambi con persone diverse.
A mio parere, ci sono alcuni temi come le emergenze legate ai migranti (possibili soluzioni per l’accoglienza,…), lo spreco edilizio e il derivante abbandono (usi alternativi dell’ incompiuto,…), il rapporto critico con il territorio (orti urbani,…) e la crisi politica generalizzata, che possono essere considerati come punto di inizio per attività di progettazione di collettivi indipendenti. Qual è la vostra opinione? Credete che la soluzione a queste criticità possa essere trovata in un ambito istituzionalizzato o al di fuori di questa cornice?
Credo che entrambe le strade siano percorribili. Soluzioni e problemi dovrebbero scaturire da collaborazioni afferenti sia il contesto istituzionale che gli attori indipendenti. Non vi è dubbio in merito al fatto che si dovrebbe dare più spazio ai gruppi indipendenti/informali poiché maggiormente in grado di prospettare soluzioni prive di vincoli politico-istituzionali e procedurali. Inoltre, i gruppi indipendenti che lavorano a livello locale presentano come vantaggio il fatto di approcciare queste questioni in modo pratico, coinvolgendo quei cittadini che sono direttamente interessati dalle medesime. Questo approccio più sano può far sì che il progetto vanti una natura più eterogenea.
Quanto la politica influisce sul vostro lavoro? La pressione politica rappresenta uno stimolo o un limite per gli architetti indipendenti?
Viviamo in un contesto molto peculiare quale quello di una Nicosia divisa dove, a causa dell’attuale crisi politica ed economica, le opportunità di sviluppo diminuiscono, determinando un fardello sia a livello economico sia a livello sociale. Vivendo in comunità divise, siamo ancor più incentivati a lavorare con l’“altra” comunità, nonostante i vari ostacoli amministrativi con cui spesso siamo alle prese.
Trovate che ci sia una corrispondenza tra territori caratterizzati da conflitti e la presenza di gruppi indipendenti? Si può dire che l’intensità della presenza di questi collettivi e delle loro azioni tende a sovrapporsi alla mappa delle emergenze o degli squilibri geopolitici? C’è un rapporto tra le condizioni di conflitto in cui si opera e il modo in cui cambia il paradigma della progettazione architettonica?
A Nicosia, negli ultimi cinque anni abbiamo assistito alla progressiva comparsa di gruppi indipendenti attivi nel mondo dell’arte, dell’architettura, della politica, dei diritti civili, dell’ambiente e così via. Nel caso di Cipro, tali gruppi hanno tardato ad affiorare, nonostante un conflitto che si protrae da oltre 40 anni. Tuttavia, la loro comparsa, accompagnata da energiche forme di collaborazione in seno ai gruppi delle comunità divise sta senza dubbio determinando l’affermazione di un diffuso sentimento di speranza contro la divisione.
Gli spazi della vecchia città hanno subito un processo di trasformazione continua in cui l’emergere di questi collettivi ha avviato un processo di gentrificazione, accompagnato da un’edilizia costosa e in espansione e dall’affermazione di una cultura commerciale. Questo conflitto avente ad oggetto lo “spazio creativo” nella città si trova in questo momento messo al sicuro sia dalle istituzioni che dal settore privato. La gentrificazione ha spazzato via le pratiche creative locali a favore della promozione del “settore dell’industria creativa”, sradicando al contempo giovani voci indipendenti per dare maggior spazio alla
Parlando di strategie, esiste una modalità di progettazione indipendente univoca o alcune linee guida che possano essere strumento di una nuova modalità di intervento in linea con le esigenze del contemporaneo?
Non esiste una strategia predefinita né delle linee guida che possano indirizzare una pianificazione indipendente. Ciascun progetto si pone degli obiettivi propri per il cui raggiungimento si sviluppa una specifica strategia. Una regola comune che tutti noi che lavoriamo negli spazi pubblici dovremmo seguire è di individuare e mettere insieme diversi gruppi di persone stabilendo un approccio partecipativo per rigenerare gli spazi urbani.
Quale tra i vostri progetti ha rappresentato un’azione efficace nell’ambito dei temi da voi indagati?
Il nostro progetto Green Urban Lab, finanziato dallo Spazio Economico Europeo e tramite contributi Norvegesi, è stato progettato quando Urban Gorillas era ancora agli albori. Grazie a questo progetto abbiamo avuto l’opportunità di avanzare una proposta incentrata sulla questione della democrazia partecipativa nell’ambito degli spazi pubblici, esaminandone la sua attuazione su vasta scala. La proposta affrontava preoccupazioni locali quali la crisi economica, strategie urbanistiche di tipo top-down e la mancanza di consapevolezza circa l’utilizzo degli spazi pubblici quali piattaforma democratica. Abbiamo affrontato queste questioni lavorando assieme alla comunità per celebrare festival pubblici su vasta scala. Oltre a interventi diretti sugli spazi pubblici, il progetto prevedeva inoltre delle ricerche approfondite sul modo in cui questi sono percepiti e utilizzati, il tutto tramite un approccio strutturato basato sul continuo avvicendamento di moduli di ricerca e di progettazione. In modo analogo, grande successo è stato registrato anche da alcuni progetti di dimensioni più contenute, come ad esempio un intervento creativo nel tradizionale quartiere di Kaimakli o l’upcycling di un autobus abbandonato, entrambi capaci di richiamare la popolazione e, al contempo, di promuovere e sensibilizzare i cittadini sul fatto la città sia un loro diritto.
Lavorando in aree “di crisi”, i tempi del processo progettuale risultano modificati: trovate ci sia una corrispondenza tra l’accelerazione nell’iter progettuale e l’innovazione del risultato?
Credo che i fenomeni attualmente in corso stiano facendo affiorare l’esigenza di soluzioni rapide, creative ed efficaci che, a loro volta, accelerino l’innovazione sia nel processo che nel prodotto. Abbiamo assistito a soluzioni innovative su vasta scala come risposta alla crisi dei rifugiati o alla resistenza politica che ha avuto luogo in Piazza Ataturk. Queste risposte immediate sono assolutamente necessarie poiché cavalcano l’onda dell’impeto iniziale e vengono portate avanti sebbene prive di ogni tipo di organizzazione. Ad esempio, per la prima volta nella storia, quest’anno la parte settentrionale dell’isola ha un fuso orario diverso rispetto a quella meridionale. Non appena tale notizia è stata diffusa dai media turco-ciprioti, nei social media si è assistito a una reazione immediata. Tuttavia, a Cipro non siamo alle prese con delle “crisi” immediate se non quella politica permanente derivante dalla divisione, che richiede pianificazioni e strategie continue.
Le tematiche da voi affrontate sono correlate ad altrettante emergenze caratteristiche del vostro territorio o dei territori in cui operate?
Sì. Una componente fondamentale del nostro lavoro consiste nella riattivazione degli spazi pubblici, una questione molto pressante a livello locale a causa della scarsa promozione e apprezzamento della cultura pubblica. Vorremmo che gli spazi pubblici fossero reinventati in modo creativo da e per i cittadini cosicché questi possano iniziare a trarre giovamento da semplici azioni quali il passeggiare per la città, una pratica urbana ormai scomparsa. Inoltre, per noi lo spazio pubblico costituisce una piattaforma eccellente per la promozione delle questioni a cui si accennava prima.
Il vostro gruppo lavora prevalentemente nel vostro paese. È stata una scelta? Quali sono le ragioni?
Siamo un’organizzazione relativamente nuova. La nostra costituzione risale a soli tre anni fa e la ragione risiede nella volontà di rispondere al bisogno di difendere gli spazi pubblici e intervenire sulla scena locale. Inizialmente, il caso volle che questo gruppo eterogeneo di persone convogliasse proprio a Cipro, quindi iniziammo ad avviare delle iniziative nel nostro stesso Paese. Tuttavia, sebbene lavorassimo qui, abbiamo sin da subito costruito una serie di importanti reti e collaborazioni a livello internazionale, alcune delle quali particolarmente stimolanti per noi come Plastique Fantastique e the New Europe | Cities in Transition Network. Il nostro desiderio è che questi rapporti possano essere duraturi e che permettano di instaurare forme collaborative di ampio respiro che travalichino i confini nazionali.
Cosa signifier essere architect designer e artisti nella Cipro di oggi?
Occorre avere inventiva, instaurare delle collaborazioni, assumersi dei rischi e allontanarsi dalla propria comfort zone. Di fronte alla persistente crisi economica che stiamo affrontando e consapevoli di vivere in una società dal pensiero ‘retrogrado’ (per quanto concerne la comprensione dell’arte e le questioni socio-ambientali), occorre trovare modi alternativi per rispondere a tali questioni cercando di essere al contempo creativi e produttivi. Ero impegnato esattamente in questo processo quando abbiamo fondato Urban Gorillas. I limiti della professione dell’architetto in termini di inventiva e di consapevolezza sociale mi hanno spinto a cercare una metodologia lavorativa e di pensiero di tipo interdisciplinare. Divenire socialmente consapevole e avviare collaborazioni di carattere interdisciplinare porta a ripensare i valori e l’ethos che l’architetto possiede e che deve alla società.