Gesti d’amore, o L’insurrection qui vient?
Hou Hanru
[…] Ovunque nel mondo, l’arte contemporanea è il prodotto di intense trattative tra una molteplicità di espressioni e riflette un’eterogeneità di interpretazioni che i singoli fanno delle realtà locali, le quali per loro stessa natura non possono che essere complesse, estemporanee e aperte a continui cambiamenti. Occorrono dei nuovi modelli istituzionali. In Asia, la ricerca di alternative è iniziata più di un decennio fa, quando alcune delle principali istituzioni artistiche hanno rilevato dei falli nel sistema vigente. Nel momento in cui i membri delle nascenti comunità artistiche contemporanee – noti per l’enfasi da questi posta nella sperimentazione artistica e sociale – si resero conto che nelle sedi tradizionali non vi era posto per le proprie attività, cominciarono ad affiorare numerosi spazi artistici autogestiti. I principali musei presenti in queste zone (se e quando esistevano), vuoi per una ragione vuoi per un’altra, non avevano saputo rispondere in modo efficace a questo moto di cambiamento innescato – dall’innovativo seppur di scala più ridotta – operato della gente comune,. Attualmente, in Cina stanno nascendo centinaia di nuovi musei. Tuttavia, gran parte di essi cercano di seguire il modello dei musei internazionali tradizionali, ignorando le dinamiche artistiche innescate dal basso. Il risultato è stato che molti artisti hanno preso le distanze da queste istituzioni, fondando degli spazi indipendenti in cui poter esprimere il proprio impegno creativo sviluppando diverse strategie di occupazione. Linfa vitale di questi spazi è pressoché sistematicamente la vita quotidiana: è necessario che i medesimi si adattino in modo rapido ed efficiente all’espansione urbana e alla crescita economica, processi che spesse volte si portano dietro quelle tensioni che affiorano nel tentativo di immaginare un futuro migliore e quegli inevitabili conflitti sociali che impediscono la concretizzazione di cambiamenti positivi. È essenziale riconoscere nel desiderio tangibile di partecipare alla vita sociale e politica la ragion d’essere per molti degli artisti attivi in questi paesi che li spinge ad agire come rappresentanti della “contemporaneità” e “dell’avanguardia”. Questa stessa tendenza la si può in buona parte ravvisare nell’attuale scena artistica italiana, animata dalla longeva tradizione di forme di auto-organizzazione quali reazione alla mancanza di politiche e strutture culturali centralizzate.
Molti di questi sforzi potrebbero essere paragonati a quella che Hakim Bey definisce una Zona Temporaneamente Autonoma (TAZ)[1]. […]
Suddette zone di resistenza danno vita a delle piattaforme che rendono possibili forme di espressione sperimentali, critiche e trasgressive, le quali fanno da contraltare a delle realtà sociali caotiche e sempre più oppressive. Inoltre, ispirano nuovi modi di concepire l’organizzazione sociale che scardinano, quando non distruggono, la riconosciuta centralità del sistema istituzionale, proponendo nuove forme di produzione sociale basate sulla continua rinegoziazione dei rapporti tra azioni indipendenti e istituzioni, tra centro e periferia, tra confini statici e spazi aperti. Tali luoghi incentivano un approccio alla creazione che non si pone limiti e che fa della produttività e del processo il vero fulcro della generazione di cultura. In altre parole, modelli alternativi quali le TAZ sfidano gli statici sistemi istituzionali che hanno dominato la produzione dell’arte e la sua esposizione[2], obbligandoci altresì a ridefinire il concetto di contemporaneo in funzione dell’impegno sociale e manifestando le reali peculiarità della produzione artistica in regioni diverse, in un momento in cui l’arte contemporanea prolifera nei nuovi centri culturali di tutto il mondo[3].
estratto da Gestures of love, or L’insurrection qui vient? in Six Lines of Flight: Shifting Geographies in Contemporary Art, catalogo della mostra (San Francisco, San Francisco Museum of Modern Art), University of California Press, San Francisco, 2012, pp. 208-210
Note
[1] Mi riferisco al mio saggio “Initiatives, Alternatives: Notes in a Temporary and Raw State,” in How Latitudes Become Forms: Art in a Global Age, edito da Philippe Vergne (Minneapolis, MN: Walker Art Center, 2003), 36–39, consultabile altresì all’indirizzo http://latitudes.walkerart.org/images/text/hanru_latitudes.pdf
[2] L’insorgere di modelli organizzativi alternativi nei Paesi non occidentali è divenuto un fattore chiave in termini di mole di ricerche e attività svolte; ne sono un esempio la Biennale di Gwangju del 2002 e la Triennale di Guangzhou del 2005. Ciò ha influenzato il posizionamento a livello internazionale degli stessi musei occidentali. Un esempio di spicco è il progetto “Museum as Hub”, che occupa il quinto piano del New Museum di New York. Hub organizza collaborazioni tra una serie di musei e di spazi artistici tra cui la Townhouse Gallery (Cairo), lo Insa Art Space/Arko Art Center (Seoul), il Museo Tamayo (Città del Messico) e il Van Abbemuseum (Eindhoven). Dal 2013 il programma del MAXXI include “The Independent”, progetto di cui enfatizza il ruolo centrale.
[3] Vd. nota 1.