Con Formichiere, progetto site specific pensato dal duo Fonte & Poe per Spazio Y, apre al pubblico il terzo capitolo di Dialogues, iniziativa che di volta in volta vede due artisti confrontarsi ed intervenire all’interno dello spazio espositivo attraverso la produzione di nuovi lavori.
Partendo da una riflessione sulla storia del Quadraro (caratterizzata dalla resistenza al Fascismo), e sulla sua peculiare morfologia (la presenza di un fitto reticolo di tunnel sotterranei di epoca romana, successivamente utilizzati come nascondigli per sfuggire alle numerose rappresaglie nazifasciste), i due artisti di base a Berlino propongono un’inedita interpretazione del contesto indagato e, sfuggendo ad una definizione univoca di senso, aprono a molteplici chiavi interpretative, in uno slittamento continuo di significato che dal particolare arriva al generale.
La mostra è composta da tre differenti opere in comunicazione tra loro: il disegno di un dettaglio anatomico del formichiere, quale elemento iconografico scelto per la simbolica connessione con il sottosuolo. L’animale è infatti un mammifero privo di denti che, mediante una lingua allungata, si nutre degli insetti che vivono in cunicoli sotterranei.
Secondo elemento è un video, presentato in anteprima in occasione della mostra, frutto di una performance realizzata coinvolgendo alcuni abitanti del quartiere.
L’azione, registrata all’interno dello spazio in cui è esposta, vede un blocco compatto di persone, disposte in coro, battere all’unisono i denti cercando di tenere un ritmo di 150 bpm, velocità con cui il formichiere estrae la lingua.
Il lavoro, riferendosi ai molteplici significati che il gesto battere i denti evoca, si aggancia al richiamo metaforico della resistenza: mostrare i denti in segno di aggressività o difesa, stringere i denti ossia tenere duro, resistere.
Ma l’interpretazione storica, relativa al legame con la resistenza del Quadraro, ancora una volta, non è l’unica possibile: il video infatti diventa ulteriore spunto per ragionare sulle dinamiche che agiscono al’interno dei gruppi sociali, sottolineandone luci ed ombre.
Se il riunirsi in gruppo ha forti valenze positive quali il proteggersi a vicenda, coalizzarsi per far fronte ad un nemico comune, o riuscire in imprese impossibili per il singolo, allo stesso tempo può degenerare in una chiusura al diverso, attivando processi di omologazione.
Creando un ponte con il presente, gli artisti ci invitano dunque a riflettere anche sull’influenza che i Social Network e gli algoritmi che li governano hanno nella costruzione e nel consolidamento di idee e convinzioni.
La cosiddetta camera dell’eco infatti, escludendo qualsiasi punto di vista diverso dal nostro e facendoci vedere solo opinioni con cui siamo in accordo, impoverisce la possibilità di confronto con altri gruppi sociali favorendo l’emergere di estremismi.
A completare il progetto un’istallazione scultorea in ceramica bianca e polvere di ossa animali.
L’impasto, ottenuto amalgamando insieme i due materiali, è stato poi lavorato a mano per produrre una serie di piccoli binari che, per forma e colore, richiamano ossa umane.
Come a chiudere un cerchio, ma in un gioco di spirali, l’opera oltre ad evocare ancora una volta una precisa idea di sottosuolo (reperti ossei come traccia del passato), riproduce anche l’infrastruttura base per i mezzi di trasposto su rotaie: i binari.
Tuttavia, la fragilità del materiale utilizzato e la disposizione scomposta sul pavimento privano della funzione d’uso questi elementi, denunciando un’impossibilità di comunicazione.