Desertmed. Isole deserte del Mediterraneo

Luigia Lonardelli

La lunghezza del mare Mediterraneo, da un capo all’altro, è di 1.136 parasanghe.

In esso trovansi circa cento isole tra piccole e grandi, tra popolate e deserte, delle quali [pure] terremo parola a loro luogo, coll’aiuto del Signore. 

Muḥammad ibn Muḥammad al-Idrīsī (سبتة Ceuta, 1099 circa-Sicilia, 1165)

L’isola è un luogo letterario che siamo abituati a pensare come esotico. I racconti che si svolgono su un’isola sono migliaia, non c’è un contesto più facile per lo sviluppo di una storia. L’individuazione dell’isola e il raggiungimento e l’allontanamento da essa sono i punti di svolta di molte narrative.

Nel 2008 un gruppo di persone si è messo in viaggio, ha navigato per il Mare Mediterraneo vivendo occasioni di incontro e respingimento, seguendo traiettorie poco lineari per raggiungere isole dai nomi difficili da pronunciare e che difficilmente sapremmo posizionare su una carta, ma che portano con sé confuse memorie ginnasiali di miti e leggende, proteggendo la contesa e umiliata identità del mare nostro.

Le persone che hanno intrapreso questo viaggio sono fotografi, musicisti, pensatori che hanno raccolto dati e misurato distanze, richiesto permessi per attraccare e selezionato rotte, alla ricerca di paesaggi e forme di organizzazione altre e alternative.

Nel suo viaggio il gruppo ha incontrato molti tipi di isola e ha navigato un mare duro, un mare da mito non da racconto, che conserva al suo interno insidie, paradossi, contraddizioni, un catalogo potenziale di tutto il nostro presente. Ma quello che stavano cercando non era il mare, ma ciò che esso circonda: isole non più abitate, abbandonate, vissute solo come intrattenimento passeggero o utilizzate senza essere vissute.

Le isole deserte del Mediterraneo, deserte lo sono diventate da poco, per effetto dell’immigrazione o perché diventate oggetto di intrattenimento o di utilizzo specialistico. Studiandone la natura e i cambiamenti il gruppo ha svelato le ipocrisie in cui sono immersi questi luoghi.

Oggi, parlando di Mediterraneo e isole, viviamo un misto di timore, pietà, compassione: quell’immaginario esotico rimanda oramai ad un senso di colpa collettivo. Il Mediterraneo continua ad essere il luogo in cui lasciamo decantare i nostri sentimenti più profondi.

Spinto da un desiderio di classificazione, il gruppo ha identificato sei tipi di isole: isole che sono parchi, isole naturali, private, militari, isole che sono prigioni e aziende. Una tassonomica al limite fra descrizione analitica e istinto narrativo che richiama le descrizioni degli antichi geografi, una poetica la cui ingenuità oggi ci commuove, mentre è testimonianza di un umanesimo al limite dell’eroico.

E come un circolo di umanisti il gruppo ha vissuto il tempo del navigare facendo del cercare stesso la sua missione, mettendo insieme visioni, dati, analisi – abbaglianti nella loro improduttività – che racchiudono la sehnsucht di un tempo di otium che ci è stato negato.

Il gruppo ha esplorato quaranta di queste isole. Molte di esse non sono accessibili o sono difficilmente raggiungibili, perpetuando così il mito della loro alterità. Esse continuano ad essere paradisi, anche quando del paradiso non hanno nulla, poiché non sono verificabili.

Le isole che hanno trovato sono come avremmo voluto che fossero: parchi naturali a cui ci siamo interdetti l’accesso per preservarli dai nostri peccati. Luoghi di espiazione che rimangono indifferenti alle tragedie che li circondano, accuditi e studiati, oggetto di ricerche e analisi che ci raccontano quello che avrebbe potuto essere, quello che dovrebbe essere.

Le isole che hanno attraversato non sono il paradiso che abbiamo immaginato: a volte sono contese, a volte ospitano attività industriali che le fanno diventare spazio di una provvisoria vita diurna.

Le isole che hanno avvistato non sono come le abbiamo dipinte: a volte sono piccoli scogli, a volte pianure inospitali battute dal vento, nel nostro fidato google maps appaiono come blind spots, punti che interrompono le curve di livello. Queste piccole imperfezioni sono circa trecento, la stessa attività del contarle è stata per il gruppo motivo di discussione e di riflessione: cosa è esattamente un’isola?

Accessi solo su invito e selezione sono stati quelli concessi al gruppo da proprietari privati. Un fenomeno che pensavamo relegato ad altri mari è invece sempre più frequente anche nel Mediterraneo, le isole greche, complice la crisi, stanno passando sempre più velocemente di mano. Il fascino della proprietà di un’isola è direttamente proporzionale alla sua morfologia, al suo essere congenitamente indipendente tanto da aver generato un aggettivo: isolato. Nell’isola si avvera il sogno di costituire una repubblica personale, pensata per funzionare secondo il proprio personale modello di società ideale.

A volte il gruppo non ha potuto toccare terra su di esse, e le ha guardate da lontano registrando i loro suoni, a volte il passaggio è stato mediato da qualcuno, ogni isola che si rispetti ha il suo guardiano, e allora non è rimasto loro che immaginare quello che era stato celato.

Il gruppo ha proseguito la sua mappatura fino a dove ha potuto.

Ne hanno fatto parte Giulia Di Lenarda, Giuseppe Ielasi, Armin Linke, Amedeo Martegani, Renato Rinaldi, Giovanna Silva. A seconda delle rotte del viaggio, a loro si sono aggiunti altri nel corso degli anni.

Il loro viaggio è diventato incidentalmente quello che per semplicità chiamiamo “opera” e si è materializzato, per adesso, in un catalogo, un vinile, centinaia di fotografie, mappe e desideri di continuare. È stato già presentato in diversi musei, ma continua a crescere, in attesa della prossima ricognizione.

Il nome di tutto questo è Desertmed. A project about the deserted islands of the Mediterranean.

Desertmed è, per traiettorie non lineari, debitore delle parole di Gilles Deleuze: que l’île déserte soit inhabitée reste un pur fait qui tient aux circonstances, c’est-à-dire aux alentours. L’île est ce que la mer entoure, et ce dont on fait le tour, elle est comme un oeuf.

desertmed.org