Intervista ad Antonello Tolve

Simone Ciglia

Nel 2016 è uscito per i tipi di Quodlibet La linea socratica dell’arte contemporanea. Antropologia Pedagogia Creatività di Antonello Tolve. Richiamando esplicitamente l’eredità critica di Filiberto Menna, il testo affronta il nodo che lega la pratica artistica contemporanea all’educazione.

Il libro è strutturato in tre capitoli. Il primo – Le declinazioni dell’educazione planetaria – introduce alcune problematiche relative all’educazione nello scenario globale del presente. Nel seguente capitolo (Intervallo critico) si prende in considerazione il tema della critica d’arte e la sua attuale condizione di crisi (soffermandosi in particolare sulla figura del curatore). Il terzo capitolo, L’arte di insegnare con l’arte, offre una rassegna di figure artistiche che nel secondo Novecento si sono confrontate con i temi educativi all’interno della loro pratica (Joseph Beuys, Piero Gilardi, Michelangelo Pistoletto, Marina Abramović, Giuseppe Stampone, Mónica Alonso, Pedro Reyes, Rosy Rox). Conclude il volume un Epilogo socratico dedicato all’artista Tomaso Binga.

 

Caro Antonello, al centro del tuo ultimo libro, La linea socratica dell’arte contemporanea è un intreccio tematico – esplicitato nel sottotitolo – fra Antropologia Pedagogia e Creatività. Quali sono le ragioni che hanno indirizzato in questo senso la tua riflessione in questo momento storico?

C’è nell’aria una forma di responsabilizzazione sociale dell’artista che non può non partire da alcune linee socio-antropologiche e da suffissi legati all’educazione, alla pedagogia e all’andragogia. La ragione che mi ha spinto ad allacciare le trame dell’antropologico, del pedagogico e del creativo nasce appunto da un desiderio di rileggere un certo panorama dell’arte da angolazioni più strettamente socratiche, legate a creatori che non si soffermano soltanto sulla elaborazione dell’opera, ma anche sulle sue funzioni e, in particolare, sulle valenze educative, parascolastiche. Il tutto nasce dalla constatazione di una decadenza scolastica. Se pensiamo a grandi maestri come Giorgio Caproni che ha insegnato nelle elementari o a importanti artisti che hanno animato le aule accademiche, ci rendiamo immediatamente conto che, nel bene e nel male, qualcosa è cambiato. Quale allora, nel paesaggio attuale, la funzione della Bildung? Di una formazione utile a creare cittadini liberi, in grado di prendersi cura dei loro spazi?

La tua riflessione s’iscrive esplicitamente in una traiettoria critica che parte da Filiberto Menna e passa per il tuo maestro Angelo Trimarco. Il titolo del tuo libro cita esplicitamente il testo fondamentale di Menna La linea analitica dell’arte moderna. In cosa consiste la nuova linea “socratica” da te individuata e in quale rapporto si colloca con il precedente di Menna?

Trovo questa tua domanda particolarmente interessante e rilevante. Effettivamente il titolo richiama alla memoria un libro straordinario che Filiberto Menna ebbe a scrivere nella prima metà degli anni Settanta e a licenziare per i tipi Einaudi nel 1975.

La linea analitica di Filiberto Menna è stato e continua ad essere per me un libro fondamentale e socratico in sé, come fondamentale e socratica è l’intera riflessione di Filiberto Menna che è stato il maestro del mio maestro. L’idea di utilizzare un titolo che richiamasse nell’immediato al libro di Menna è da intendersi come un riconoscimento e come un elogio intellettuale, tuttavia, più che parafrasare quella linea, ho inteso modellare la direzione di un atteggiamento pedagogico e andragogico centrale, mi pare, non solo nell’arte di oggi, ma anche in quella di ieri e in quella di domani. Il libro si divide in tre stanze. Nella seconda che ho intitolato Intervallo critico per richiamare alla memoria L’arte e l’abitare (2001) di Angelo Trimarco, uno dei teorici più brillanti del secondo Novecento, è dedicato a tre figure che reputo fondamentali – Achille Bonito Oliva, Gillo Dorfles (un caro amico venuto a mancare di recente) e Trimarco – e rappresentative del panorama critico: di un panorama che non si ferma soltanto all’analisi dell’opera d’arte, ma schiude un programma riflessivo su tutti i vari sentieri della creatività e della stessa umanità.

Nel libro raccogli una serie di esperienze artistiche del secondo Novecento che spaziano da Beuys a Gilardi, da Abramović a Pistoletto, fino ad arrivare alle generazioni più giovani, come Pedro Reyes e Giuseppe Stampone. Come hai selezionato questi autori? Colpisce la forte presenza di artisti italiani: credi che ciò sia un sintomo culturale?

Sì, credo che sia un sintomo culturale. In Italia la tecnocrazia ha danneggiato e in alcuni caso deteriorato il sistema scolastico portandolo verso una inevitabile paralisi.

Gli artisti che ho selezionato e che ho inserito nella terza sezione del libro rappresentano alcune campionature dell’ampio panorama socratico. Ho provato a organizzare una passeggiata, un tragitto le cui stazioni, per me fondamentali, permettono – almeno nel mio viaggio – di individuare gli atteggiamenti socratici di alcuni artisti che trasformano l’arte in spazio educativo, di altri che partono dall’educazione per trasformarla in opera e di altri, ancora, che vivono l’arte e l’educazione all’arte come un unicum. In questa sezione del libro, quasi un’applicazione teorica, ho provato, nei titoli, a giocare con il lettore (a trovare una sorta di dialogo mancato). Leggendo attentamente i vari paragrafi dedicati agli artisti trattati è possibile, infatti, trovare richiami costanti À la recherche di Marcel Proust.

Educational Turn è la denominazione emersa alla metà degli anni Novanta per descrivere un insieme di pratiche artistiche – di crescente diffusione – incentrate su processi collaborativi e di ricerca e focalizzate sul superamento di strutture educative tradizionali. Qual è la tua posizione nei confronti di questa tendenza e come s’inserisce all’interno del tuo discorso?

Se riprendiamo quel bel libro curato da Paul O’Neill & Mick Wilson (Curating and the Educational Turn, 2010) ci rendiamo immediatamente conto che le questioni pedagogiche e didattiche dell’arte sono diventate sempre più rilevanti. La mia posizione è più strettamente legata a John Dewey e alla parabola di un’arte come esperienza. Se torniamo ad alcuni suoi importanti, irrinunciabili e profetici scritti teorici, ci rendiamo conto che già negli anni trenta del secolo scorso si mirava a saltare il fosso della tradizione per abbracciare un nuovo modo di fare educazione, non solo di natura nozionistica ma anche pratica, capace di scrivere tra l’altro le singolarità e di – lo dico con Maria Montessori – educare alla libertà.

Antonello Tolve è studioso delle esperienze artistiche e delle teorie critiche del Novecento, con particolare attenzione al rapporto che intercorre tra arte, critica d’arte e nuove tecnologie, ha pubblicato in questo ambito numerosi saggi. Docente presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata, è stato visiting professor in diverse università, tra queste, la Mimar Sinan Fine Arts University – Tc Mimar Sinan Güzel Sanatlar Üniversitesi (Istanbul, Turchia), l’Università GDUT – Guangdong University of Technology / Guăngdōng Gōngyè Dàxué (Canton, Cina) e l’Università BLCU – Beijing Language and Culture University / Běijīng Yŭyán Daxué (Pechino, Cina).

Biografia

Critico d’arte e curatore indipendente, Antonello Tolve è stato commissario in diverse giurie internazionali e progetta, da tempo, mostre che indagano il presente dell’arte e della vita con un atteggiamento visivo e riflessivo di natura multidisciplinare e babelica. Tra i suoi libri Gillo Dorfles. Arte e critica d’arte nel secondo Novecento (2011), ABOrigine. L’arte della critica d’arte (2012), Ubiquità. Arte e critica d’arte nell’epoca del policentrismo planetario e Esibizione dell’esibizione (2013).

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La Piperita. Un progetto editoriale nato tra i banchi di scuola, 2012, incontro/workshop/evento espositivo con Ludovica Chiarandini e Vida Rucli, CRAC del Liceo Artistico Statale Bruno Munari (Cremona), a cura di D. Ferruzzi e G. P. Machiavelli, Courtesy Archivio CRAC (Cremona).

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Rosy Rox, Il dono, 2018, exhibition view, Museo MADRE (Napoli), courtesy l’Artista.

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Rosy Rox, Il dono, 2018, exhibition view, Museo MADRE (Napoli), courtesy l’Artista.

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Giuseppe Stampone, Global Education from Seoul Biennale of Architecture and Urbanism, Seoul 2017, courtesy l’Artista.