Isola: tra Contatto e Separazione. Pensieri notturni: una conversazione via e-mail
Yiorgos Hadjichristou, Despo Pasia
Alcune e-mail scambiate nel corso della settimana hanno animato una discussione tra il museologo Despo Pasia (DP) e il docente di architettura Yiorgos Hadjichristou (YH). La discussione verteva attorno al concetto di isola, intesa sia in senso geografico che metaforico. In che modo vivere su un’isola sviluppa dei modelli di contatto e di separazione tra l’isola e gli altri luoghi? Questi processi si sviluppano all’interno della stessa isola?
Urban Gorillas:
Cipro è stata spesse volte vista come crocevia tra Europa e Medio Oriente. Dopo il governo coloniale britannico, la consacrazione a Stato nel 1960, i fatti del 1974 che determinarono la divisione dell’isola e il suo ingresso nell’UE nel 2003, Cipro sta ora attraversando un nuovo complesso processo sociale, artistico e politico alla ricerca della propria identità.
Alla luce di questi fatti, cosa ne pensa della comparsa di voci indipendenti all’indomani dell’indipendenza dell’isola?
YH, lunedì 18 marzo, 1:16
L’indipendenza sembra essere un processo senza fine. Le voci indipendenti riecheggiano tra i resti immobili della struttura coloniale. Lontano dai tradizionali centri nevralgici, il palcoscenico urbano contemporaneo è stato allestito dai britannici. L’introduzione di una pianificazione urbana di stampo coloniale ha fatto sì che le tradizionali tipologie architettoniche, tra cui il diffusissimo patio, scomparissero. Il paesaggio urbano contemporaneo improntato dai britannici – nel tentativo di imporre, così facendo, il loro pensiero occidentale – non solo represse ogni sorta di sviluppo o evoluzione dell’architettura tradizionale, bensì interruppe bruscamente la linea di continuità che legava il paesaggio urbano tradizionale a quello contemporaneo. Purtroppo, le nuove normative introdotte dai britannici furono adottate dalla giovane Repubblica di Cipro e, a distanza di 57 anni, sono ancora in vigore. A causa del fatto che, fino a poco tempo fa, la maggior parte dei ciprioti avesse studiato in Gran Bretagna o in una delle due “madrepatrie” (Turchia o Grecia), le voci alternative e i tentativi di creare dei paesaggi urbani che rispecchiassero i gusti e le necessità autoctone furono messi a tacere. Forse tutto ciò è avvenuto nel tentativo di creare dei punti di connessione e dei ponti mentali e culturali tra gli isolani segregati e le loro madrepatrie o le culture occidentali imperanti, così da tingere le loro identità dei colori di ciò che è “importato”, “straniero” e “altro”. Le profonde mutazioni economiche, sociali, politiche e ambientali che ebbero luogo nell’isola, accompagnate dalla comparsa di un’animata scena accademica e artistica, hanno fatto sì che questa situazione dai caratteri confusi cominciasse ad essere affrontata con un atteggiamento più critico. Tutto ciò, assieme a una maggiore necessità di intavolare un dialogo costruttivo con le culture continentali, ha rappresentato un terreno fertile che ha consentito a pensieri e voci indipendenti desiderose di farsi sentire di fiorire.
DP, martedì 19 marzo, 12.25
Ritengo che l’oscillare da una situazione di “collegamento” a una di “divisione” trovi nel caso degli isolani ciprioti una delle sue massime espressioni. Ciò non è imputabile a un unico fattore, quanto piuttosto all’interazione tra una serie di essi, tra cui dimensioni, posizione geografica, storia, cultura e la relativamente recente esperienza coloniale. Sono d’accordo con Yiorgos sul fatto che le conseguenze della rottura avvenuta in ambito architettonico su iniziativa del governo coloniale continui ad essere ancora oggi un’esperienza viva. Il governo coloniale si è reso responsabile di più di una rottura [1], ma non dimentichiamoci che lo stesso è avvenuto anche in altre ex colonie. Potrei ampliare la descrizione fatta da Yiorgos soffermandomi sull’analisi di alcuni aspetti sociali, politici e culturali dell’isola.
Il motivo per cui ho detto che il ripetuto passaggio da una situazione di divisione a una di connessione sia un’esperienza molto sentita dai ciprioti è perché nella ricerca di quella che potremmo definire ‘un’identità cipriota’ durante l’epoca coloniale e, più tardi, in quella post-coloniale, troppo spesso siamo apparsi indecisi, annebbiati e confusi. Il tentativo di ristabilire dei ponti con le due madrepatrie (Turchia e Grecia) non è stato qualcosa che ha accumunato tutti i ciprioti, né da un punto di vista politico né culturale. Allo stesso tempo, il voler ‘rispondere’ al centro coloniale servendosi del suo stesso linguaggio culturale e verbale è avvenuto con l’intento o di collegare o di separare in maggiore o minore misura l’io ‘locale’ dall’io ‘colonizzato’. Il fatto stesso che Cipro abbia dimensioni così ridotte esacerba ulteriormente queste tensioni: rapporti sociali e orientamenti culturali e politici sono spesso confinati alla sfera familiare. O per lo meno così era fino allo scorso decennio… I cambiamenti accennati da Yiorgos hanno accresciuto l’esigenza di un pensiero critico e di una ‘scena artistica nuova e vivace’ nel Paese.[2]
È vero che il mare separa l’isola dal continente. Ma è altrettanto vero che li collega. Sembra come se negli ultimi dieci anni gli isolani ciprioti abbiano ‘attraversato’ il mare per sintonizzarsi alla(e) metropoli dell’arte, ma siano poi ‘tornati indietro’ per ridefinire il grado e la natura di tale connessione/separazione.
YH, mercoledì 20 marzo, 1.00
Vorrei ricollegarmi all’interessante visione proposta da Despo in merito al tema del collegamento/separazione alla(e) e dalla(e) Metropoli, trasponendo tale discorso a livello locale. Sembrerebbe che quanto più le nostre città si riempiono di energia urbana, trasformandosi in un ambiente cosmopolita, tanto più ci si allontani dalle ripercussioni negative di quelle ‘forze disgregative’ di natura etnica e identitaria. Come già rilevato in riferimento a un’altra città insulare che si trova a vivere una situazione di conflitto, gli spazi cosmopoliti e, più in generale, tutti quegli spazi del Belfast Civic Center che sono riusciti ad acquisire nuovi significati, sono di vitale importanza poiché divengono una ‘testimonianza simbolica di un’identità condivisa’ [3]; il rebranding di un’arte pubblica antagonista ha attenuato, quando non addirittura cancellato, i simboli della divisione della città.
La cultura urbana cosmopolita cipriota che si sta affermando e il crescente numero di università, per citare solamente due esempi, fungono da catalizzatore delle possibilità/opportunità di connessione, facendo di Cipro uno spazio globalmente aperto, promuovendo impollinazioni incrociate, ibridità e fluidità”[4]. Questa situazione, potrebbe derivare anch’essa dalle opportunità offerte agli isolani ciprioti di far sentire in modo eloquente e creativo le proprie voci, non avendo necessariamente bisogno di trovarsi nel mezzo delle tensioni antagonistiche che caratterizzano quei simbolici territori divisi.
In altre parole, la permeazione da parte della(e) Metropoli ha fatto sì che le tensioni e le divisioni etniche si affievolissero. Inoltre, tale fenomeno ha generato dei ‘processi senza fine di assimilazione e ripensamento delle storie esistenti, facendo sì che futuri episodi di contatti umani e culturali possano verificarsi ed essere raccontati.
Mano a mano che questo ambiente culturale cosmopolita evolve, le “zone cuscinetto” – promemoria della divisione – si fanno sempre più porose: le porte prendono il posto dei ponti, ricordandoci che ‘ciò che è confinato comunica con ciò che non lo è… rendendo così possibile uno scambio perenne’ [5].
DP, giovedì 21 marzo, 22.11
“ciò che è confinato e ciò che non lo è”
‘divisa e collegata’…
Appartengo a una generazione che ha toccato con mano le continue fluttuazioni e oscillazioni tra questi due estremi (o in qualunque altro modo li si voglia chiamare). Non è mia intenzione essenzializzare la condizione di questo Paese insulare: d’altronde lo stesso accade anche altrove [6]. D’altra parte, però, il colonialismo e il nazionalismo possono essere senz’altro di maggiore aiuto nello spiegare tali violente fluttuazioni e la loro istituzionalizzazione. I musei di Cipro ne sono un’ottima esemplificazione.
Avendo mosso i primi passi come prodotto molto caro al progetto coloniale – profondamente interessato al passato ellenico dell’isola -, i musei ciprioti furono trasformati in campi di battaglia dove ad essere in palio era l’identità etnica degli abitanti di Cipro. Ancora oggi ci sono dei musei statali e semi-statali che considerano il popolo di Cipro come una singola e unica entità con radici sia elleniche che turche. Gli armeni e i maroniti, altri due gruppi etnici ciprioti, sono pressoché assenti dalle letture che i musei fanno del Paese.
Ripercorrendo gli ‘ultimi dieci anni’ di dibattiti innescati da tale processo, possiamo notare un numero notevole di casi in cui i musei invitano a sovvertire la loro precedente narrativa fornendo una lettura di Cipro di stampo coloniale, nazionalista e romantica (come ad esempio il Museo di Cipro e la Galleria di Stato dell’Arte Contemporanea Cipriota). Quest’eversione va oltre l’identità etnica e religiosa intesi come catalizzatori di un’identità cipriota, muovendosi in parallelo alla scena artistica del Paese. Così facendo, i musei (alcuni) assumono gradualmente il ruolo che compete loro, assurgendo a spazi pubblici in cui l’identità e le esperienze vissute sono discusse – e non imposte – tra gruppi che fino a poco prima non si ‘parlavano’ tra loro.
Sempre allo scopo di coltivare nuove forme di impegno in seno a spazi dai forti connotati politici legati alle identità etniche cipriote, Lia Haraki (2014) fa una lettura molto personale di uno spazio che è comunemente e continuamente reclamato per servire le narrative nazionaliste: l’emblematico Monumento alla Libertà di Nicosia [7]. La performance è stata eseguita in un luogo relativamente sicuro, quale il Nicosia Municipal Arts Center, e ha previsto altresì lo studio del monumento. A degli occhi ‘metropolitani’, questa potrebbe sembrare una pratica artistica già ben affermata. Tuttavia, in un luogo in cui i conflitti armati scaturiti da ragioni etniche costituiscono un’esperienza relativamente recente, tale iniziativa testimonia l’era di transizione che stiamo vivendo a Cipro: un’era durante la quale il corpo, il corpo degli abitanti, il nostro corpo, diviene più visibile. Non perché parte integrante di un’esotica spiaggia turistica insulare [8], bensì perché in grado di iniziare a dialogare con gli altri corpi.
YH, venerdì 22 marzo, 3.00
Seguendo un approccio per così dire parallelo, il Green Urban Lab (GUL) [9] si è letteralmente appropriato della presenza fisica dell’identità storica e nazionale dei monumenti pubblici, così da consentire alla gente di goderne appieno e di riutilizzarli in modo attivo [10]. Focalizzando la propria attenzione su dei momenti storici epocali ben radicati nella memoria collettiva di gran parte dei ciprioti, il GUL ha cercato di compiere degli interventi in luoghi ubicati nel centro della città modificandone l’uso quotidiano o, per meglio dire, il non-uso. I castelli sono intrisi di significati storici e riecheggiano le ripercussioni della guerra. È per questo che la scelta è ricaduta su di essi, presentandosi come potenziali sfere della vita pubblica quotidiana piuttosto che come relitti immobili e senza vita del passato. All’interno di questi sono state inserite delle strutture gonfiabili temporanee, pressoché eteree, allo scopo di smorzare il loro carattere permanente e poco allettante, per attenuare la loro monumentalità e per trasformarli in un invitante spazio urbano a disposizione di tutti. Hanno funto da strutture quotidiane, comportandosi come parte integrante dell’ambiente urbano così da attirare la ‘gente comune’ e non solo i visitatori di monumenti e musei [11]. Uno dei principali scopi del GUL era ‘giocare con la topofobia e creare la topofilia’ [12] proprio in questi luoghi così carichi di significato, creando delle condizioni tali che permettessero di interagire con ‘l’altro’.
Inoltre, la partecipazione di diversi gruppi che hanno dato voce al proprio pensiero e alla propria identità, ha fatto sì che ne siano derivati degli eventi festosi. Queste situazioni effimere create dalle ‘attività di gruppi che sono essi stessi effimeri’ [13] ha fortemente contribuito a generare delle opportunità d’incontro con ‘l’altro’. La presenza pressoché immateriale dei gonfiabili è stata accompagnata da una variegata gamma di attività divertenti; ciò ha permesso di accantonare momentaneamente le differenze etniche, sociali, di genere, di età e così via, permettendo a nuove storie e nuovi voci di rimanere impresse nello spazio e nella memoria.
In tutt’altro contesto, il Kaymakli festival [9] ha trasformato lo storico quartiere colorandolo di tinte eterogenee e multiculturali, grazie a una serie di vivaci attività spontanee. Le attività ‘open window’ e ‘open houses’ hanno permesso di apprezzare la vita quotidiana degli abitanti del luogo. L’inserimento all’interno di una strada di una struttura gonfiabile temporanea dalla forma allungata ha ancora una volta invitato la gente, in modo provocatorio e ardito, a fare nuovi incontri e a svolgere nuove attività e, seppur momentaneamente, ha trasformato un luogo generalmente occupato dai veicoli in un’arena sociale di interazione, in una ‘topografia umana con identità emergenti’ [14].
Questi incontri spontanei ed effimeri hanno dato modo a nuove identità umane e sociali di affiorare, aggiungendo nuovi strati al paesaggio urbano collegati e interconnessi alle condizioni locali e alle storie pregresse, riflesso di voci e di esperienze di resistenza indipendenti.
Fonti:
[1] Mary Louise Pratt. 1991. ‘Arts of the Contact Zone’. Profession 91: 33–40.
[2] Why Cyprus Is Europe’s Most Exciting Art Hub Right Now. https://news.artnet.com/art-world/cyprus-art-scene-887609
[3] Gaffikin, F., McEldowney M., Sterrett K. Creating Shared Public Space in the Contested City: The Role of Urban Design”. Journal of Urban Design, Vol. 15. Num. 4, Novembre 2010, pp. 493–513.
[4] Skrbis, Z., Woodward, I., The ambivalence of ordinary cosmospolitanism: investigating the limits of cosmopolitan openness, 2007 The Sociological Review, 55(4), pp. 730–747.
[5] A cura di Neil Leich, Architecture, a reader in cultural theory, Routledge 1997, pp. 65-69- Georg Simmel
[6] Hadjikyriacou, A. ‘Envisioning Insularity in the Ottoman World’. In Hadjikyriacou,A. (ed.) Insularity in the Ottoman World (Princeton: Markus Weiner Publishers, 2017).
[7] Lia Haraki, insieme a Yiannis Toumazis, sviluppò una specifica versione del suo ‘The Record Replay React Show’ (http://liaharaki.com/index.php/work/on-stage/140-the-rrr-show-2014) nell’ambito del progetto espositivo Treasure Island, tenutosi a Nicosia nel 2014 presso il Nicosia Municipal Arts Center (http://nimac.org.cy/archives/81). [8] Zacheos, Marilena. ‘Delivering Views # 11: From Cyprus with Love’. Documento presentato in occasione della 4° edizione della International Conference of Photography & Theory (ICPT 2016):Photography and the Everyday. IAPT, Nicosia, 2016.
[9] V. Antoniou, R. Carraz, Y. Hadjichristou. Inflating the public. Proceedings of the International Conference on Changing Cities II Spatial, Design, Landscape & Socio-economic Dimensions. Editor: Prof. Aspa Gospodini, Università di Thessaly/ Graffima Publications. p. 1597-1607
[10] Lefebvre, H., Towards an Architecture of Enjoyment, 2014 Università del Minnesota Press, A cura di Lukasz Stanek (p. introduzione xIviii)
[11] Freidman, Y., Architecture with the people, by the people and for the people’, 2011 AA Musac- ACTAR
[12] Sadler, S., The situationist city, 1999 MIT press
[13] Lefebvre, H., Towards an Architecture of Enjoyment, 2014 Università del Minnesota Press, A cura di Lukasz Stanek (p. Introduzione xIviii)
[14] Swiny A., Antoniou V. Hadjichristou Y. ‘Human Topographies_Emerging Identities, Milan Design Trienale 2016 ‘21st century- Design After Design- XXI Trienniale International Exhibition, pp. 149-154